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GR News
today06.10.2025
La cybersecurity Made in Italy sta diventando un pilastro fondamentale della transizione digitale del Paese. Con minacce sempre più sofisticate – dai cyber-attacchi organizzati al dark web – le imprese italiane rispondono con soluzioni innovative che combinano intelligenza artificiale, comunità di hacker etici e strumenti di prevenzione. Questa evoluzione non ha un valore solo tecnico, ma strategico: ha la funzione di proteggere dati, infrastrutture critiche e rafforza la sovranità digitale nazionale. Tre aziende italiane spiccano oggi come esempi di riferimento per il settore, secondo la rivista Wired che ha da poco fatto il punto sulla questione: Cyberoo, Tropico Security e Unguess.
La cyber è infatti diventata la “quarta dimensione” dello spazio tradizionale (dopo terra, mare, aria) e – anche nel dibattito sulle relazioni internazionali – acquista un peso crescente.
La cybersecurity italiana passa innanzitutto per la capacità di anticipare gli attacchi. È questa la scommessa di Cyberoo, azienda italiana fondata nel 2008 che oggi impiega oltre 200 persone. Cyberoo ha sviluppato strumenti proprietari che sfruttano l’intelligenza artificiale per raccogliere, filtrare e analizzare informazioni provenienti da fonti pubbliche e oscure, compresi forum e mercati nel dark web, al fine di individuare pattern riconducibili a minacce emergenti. Questa pratica, nota come cyber threat intelligence, consente non solo di reagire, ma di strutturare difese preventive, riducendo tempi di risposta e danni potenziali.
Un’altra frontiera della cybersecurity Made in Italy riguarda l’uso di strumenti che non solo difendono, ma attirano attacchi in ambienti controllati per studiarli. Tropico Security, startup recente, ha scelto un approccio basato sulla deception. Tropico crea emulatori, ossia falsi servizi informatizzati — honeypot evoluti — con vulnerabilità deliberate, che appaiono realistici anche al cyber criminale. L’intelligenza artificiale gestisce questi emulatori affinché rispondano come farebbe un sistema reale. Chi attacca viene così “ingaggiato” in un ambiente che sembra vulnerabile, ma che è sotto controllo. Questo permette due cose: rallentare e distrarre l’aggressore, e nello stesso tempo raccogliere dati preziosi su tecniche, strumenti, modalità di attacco. Questa strategia aumenta significativamente la capacità difensiva delle aziende.
La terza frontiera dell’innovazione Made in Italy nella cybersecurity è la modalità collaborativa e continua di scoperta delle vulnerabilità. Questo è ciò che propone Unguess. I bug bounty program tradizionali prevedono periodici test di penetrazione o assessment, spesso costosi e limitati nel tempo. Unguess invece ha costruito una piattaforma di crowdsourcing che coinvolge hacker etici e ricercatori indipendenti che segnalano vulnerabilità tutto l’anno. Alla comunità partecipante viene assicurato un processo chiaro: responsible disclosure, determinati tempi per le segnalazioni, regole trasparenti su compensi e interazione con le aziende. Questo approccio rende la sicurezza un processo continuo, non un evento isolato, interessante soprattutto per le piccole e medie imprese che possono accedere a coperture elevate senza costi proibitivi.
Mentre le storie di Cyberoo, Tropico Security e Unguess dimostrano come la cybersecurity Made in Italy possa essere innovativa e competitiva, restano sfide da superare per consolidare il settore: nonostante l’elevata preparazione tecnica, il numero di esperti è insufficiente rispetto alla domanda crescente, il che implica di investire sulla formazione. Sempre più necessari diventano i percorsi formativi specifici in threat intelligence, AI security, e ethical hacking. Le soluzioni italiane devono ottenere certificazioni internazionali riconosciute per inserirsi in filiere globali, specie nei settori critici come difesa, telecomunicazioni e infrastrutture. Occorrerà poi rafforzare il networking tra imprese, università, istituzioni e agenzie governative per promuovere ricerca applicata, standard condivisi e filiere tecnologiche nazionali. Non potrà che completare il quadro l’adozione di policies che incentivino la cybersecurity Made in Italy—agevolazioni, bandi, incentivi fiscali—possono accelerare la scalabilità delle soluzioni nazionali. Un segnale concreto di crescita è il progetto di TIM/Telsy con il microchip crittografico “Made in Italy”, che punta a un root of trust nazionale per dispositivi di “web of things” (o IoT, internet delle cose), smart city e infrastrutture cloud.
La cybersecurity Made in Italy non è più solo una vaga aspirazione: è un settore in aperta evoluzione che produce aziende capaci di innovare con esperimenti concreti. Con esempi come Cyberoo, Tropico Security e Unguess, l’Italia punta a costruire un network di competenze che uniscono intelligenza artificiale, collaborazioni etiche e prevenzione attiva. Per far sì che questo slancio virtuoso diventi strutturale, serviranno investimenti, competenze e consapevolezza istituzionale. Ma la strada è tracciata: la sicurezza digitale, ieri considerata optional, oggi è centrale, e il Made in Italy può giocare un ruolo importante.
Scritto da: Michele Ceci
cybersecurity madeinitaly minacce non tradizionali sicurezza informatica
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