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Algoritmo Sonoro | Puntata del 16 luglio 2025 Synthia
Con oltre 15.000 imprese scomparse in cinque anni e migliaia di posti di lavoro andati persi, il settore della moda italiana, simbolo internazionale dell’eleganza e della qualità artigianale, attraversa una crisi profonda. A lanciare l’allarme è Confartigianato Moda, che in audizione al Senato ha chiesto misure urgenti per proteggere non solo un comparto economico strategico, ma un patrimonio culturale che identifica l’Italia nel mondo.
«Il settore tessile e moda, pilastro storico del made in Italy, oggi vive una crisi che richiede risposte immediate», ha dichiarato Moreno Vignolini, Presidente di Confartigianato Moda, davanti alla 9ª Commissione Industria del Senato, nell’ambito dell’esame del Decreto Legge per il sostegno ai comparti produttivi.
I numeri parlano chiaro: nei primi quattro mesi del 2025, l’export della moda italiana è calato del 3,7%, la produzione ha registrato un crollo del 9,3% e l’occupazione è scesa del 5,6% rispetto al 2024. Dal 2019 al 2024 sono scomparse oltre 15.000 imprese, di cui 7.600 artigiane: una media di otto chiusure al giorno. Si tratta spesso di realtà familiari, altamente specializzate, che incarnano i valori del made in Italy: qualità, tradizione, legame con il territorio.
Le cause sono molteplici: inflazione, nuove abitudini di consumo, concorrenza globale, costi dell’energia e burocrazia. Ma il risultato è uno solo: il cuore manifatturiero della moda italiana sta cedendo. E con esso, rischia di perdersi un modello produttivo unico, che ha saputo trasformare la creatività in economia, l’identità locale in valore internazionale.
Di fronte a questa situazione, Confartigianato Moda ha presentato al Parlamento un pacchetto articolato di interventi per salvare e rilanciare il settore. Il primo obiettivo è tutelare l’occupazione lungo tutta la filiera del made in Italy, chiedendo il prolungamento degli ammortizzatori sociali fino al 31 dicembre 2025 e la loro estensione a settori affini, come oreficeria e bigiotteria.
Ma il rilancio passa anche da strumenti innovativi. Una delle proposte principali riguarda i micro-contratti da 200.000 euro, pensati per favorire l’aggregazione tra piccole imprese, facilitare l’accesso al credito e sostenere gli investimenti in tracciabilità e sostenibilità, due asset fondamentali per il futuro del made in Italy.
Fondamentale anche il sostegno fiscale: Confartigianato chiede la riapertura della finestra per il credito d’imposta su ricerca e innovazione, con scadenza prorogata al 31 ottobre 2025, e l’eliminazione di interessi e sanzioni per chi vi accede.
«Senza interventi immediati», ha ribadito Vignolini, «rischiamo di compromettere un patrimonio economico, culturale e sociale che è il volto più autentico del nostro Paese. Il made in Italy non può essere lasciato solo in questa fase di trasformazione».
Lo sguardo di Confartigianato Moda non si ferma alle emergenze, ma guarda avanti. Il futuro del made in Italy – dichiara Vignolini – dovrà poggiare su tre capisaldi: legalità, tracciabilità e sostenibilità. Tre parole chiave che non sono solo slogan, ma condizioni necessarie per competere nei mercati globali.
Legalità significa garantire regole eque per tutte le imprese, contrastare il lavoro sommerso e le delocalizzazioni opache, assicurare pagamenti puntuali lungo la filiera. Tracciabilità vuol dire mappare fornitori, lavorazioni e materie prime, per rafforzare la reputazione del prodotto italiano e certificare la sua origine. Sostenibilità è la grande sfida dei prossimi anni: servono incentivi per l’eco-design, la gestione circolare degli scarti, la responsabilità estesa del produttore.
Il made in Italy, afferma Confartigianato, deve essere riconosciuto e premiato quando rispetta l’ambiente, valorizza i territori, investe nel capitale umano. La normativa europea, in questo senso, può rappresentare un’opportunità solo se calibrata sulle esigenze delle micro e piccole imprese. Altrimenti rischia di diventare un ostacolo.
Per questo è urgente che il sistema Italia (istituzioni, associazioni, imprese) lavori insieme per costruire un ecosistema favorevole. Non si tratta solo di salvare posti di lavoro, ma di difendere un modello di sviluppo fondato sulla qualità, sull’identità e sulla bellezza: in una parola, sul lifestyle italiano.
La crisi della moda italiana non è solo una questione economica. Ha ricadute profonde sul tessuto sociale dei territori, soprattutto nelle aree dove la filiera del made in Italy è radicata da generazioni. I distretti di Prato, Carpi, Biella, Como e molti altri stanno subendo perdite che vanno ben oltre i numeri.
Ogni impresa che chiude porta via con sé competenze, relazioni, cultura. Le botteghe artigiane, spesso a conduzione familiare, non sono semplici attività commerciali: sono custodi di un saper fare che si tramanda nel tempo, di una bellezza che nasce dalla manualità e dalla cura dei dettagli. Sono parte integrante del life style italiano, riconosciuto e ammirato nel mondo.
In molti piccoli comuni, la moda è l’unica industria presente. La sua crisi significa meno lavoro, meno giovani, meno futuro. Ecco perché Confartigianato Moda insiste sulla necessità di politiche industriali che mettano al centro le imprese di prossimità: formazione, digitalizzazione, promozione nei mercati esteri, accesso al credito.
Salvare la moda italiana significa salvare l’Italia dei territori, delle eccellenze nascoste, delle comunità produttive che danno anima al made in Italy. È una sfida nazionale, culturale e strategica. Perché senza moda non c’è stile, e senza stile l’Italia rischia di perdere la sua voce più autentica.
Scritto da: Matteo Respinti
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