L’economia del mare in Italia vale 216,7 miliardi di euro e contribuisce per l’11,3% al Prodotto Interno Lordo nazionale. Con oltre 230mila imprese, più di 1,1 milioni di occupati e una crescita del 15,9% in un solo anno, la cosiddetta “blue economy” si conferma una delle filiere più strategiche e dinamiche del Paese. È quanto emerge dal XIII Rapporto Nazionale sull’Economia del Mare, redatto da OsserMare, Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere, presentato al Ministero delle Imprese e del Made in Italy nel corso del summit “Blue Forum Italia Network”.
Il mare come motore economico e identitario
L’economia del mare in Italia non è più un comparto settoriale, ma una chiave di lettura trasversale dello sviluppo nazionale. Non si parla solo di turismo costiero, ma anche di cantieristica, movimentazione merci, pesca, ristorazione, sport, ricerca, energia e tutela ambientale. È un ecosistema produttivo che incarna la vocazione mediterranea del Paese, con un valore aggiunto diretto di 76,6 miliardi di euro e un impatto complessivo, considerando anche l’indotto, di 216,7 miliardi.
Il tasso di crescita della blue economy è più che doppio rispetto alla media dell’economia nazionale (15,9% contro 6,6%), e l’incremento dell’occupazione (+7,7%) è quattro volte superiore al dato generale (+1,9%). L’Italia, con i suoi 8.000 chilometri di coste, ha saputo capitalizzare questa risorsa naturale, trasformandola in leva strategica per l’industria, la formazione e l’innovazione.
Le sette anime della blue economy italiana
Secondo la classificazione Istat Ateco adottata dal Rapporto, l’economia del mare è composta da sette settori principali. La filiera ittica include pesca, trasformazione e commercio del pesce. La cantieristica comprende la costruzione e manutenzione di imbarcazioni da diporto e navi. L’industria delle estrazioni marine si occupa di risorse off-shore come gas e sale. Il trasporto via mare coinvolge logistica, portualità e servizi assicurativi. Seguono turismo e ristorazione nei comuni costieri, sport e intrattenimento marittimo, ricerca e tutela dell’ecosistema.
Il comparto più forte è quello dei servizi turistici e ricreativi, che incide per il 37% sul valore della filiera. Tuttavia, il Rapporto sottolinea una forte spinta anche nella logistica portuale e nella cantieristica, settori ad alta specializzazione e propensione all’innovazione tecnologica.
Inoltre, la componente imprenditoriale della blue economy si distingue per un dinamismo superiore alla media, con una presenza significativa di imprese giovanili e femminili. In particolare, le imprese guidate da donne rappresentano oggi il 22,6% del totale del settore marittimo.
Le sfide del futuro: sostenibilità, innovazione e competenze
Il “Blue Forum” ha posto al centro tre priorità: sostenibilità ambientale, innovazione digitale e rigenerazione delle competenze. La transizione verde impone al settore marittimo di affrontare sfide legate all’innalzamento del livello del mare, alla conservazione degli ecosistemi e alla decarbonizzazione delle attività portuali e turistiche. Non a caso, il Rapporto promuove una “Economia del Mare 6.0”, basata sull’integrazione tra tutela ambientale e tecnologie emergenti.
Tra le innovazioni citate vi sono l’intelligenza artificiale per la logistica, i digital twin per la simulazione delle rotte, la robotica subacquea per le ispezioni, la sensoristica per il monitoraggio delle acque e il satellite per la mappatura dei fondali. L’Italia punta a sviluppare un vero Osservatorio Integrato Space&Blue, che connetta mare e spazio in un’unica infrastruttura di dati.
Altro punto cardine è la formazione. Per sostenere la crescita dell’economia del mare occorrono nuove competenze. Il Rapporto richiama la necessità di percorsi formativi dedicati, scuole nautiche, corsi universitari e centri di ricerca. In questo senso, l’attivazione del portale OsserMare.org rappresenta uno strumento fondamentale per la diffusione di dati, mappe tematiche e analisi settoriali a disposizione di imprese, università e amministrazioni.
Italia hub del Mediterraneo: una strategia geopolitica
Il futuro dell’economia del mare è anche una questione geopolitica. Il Piano del Mare 2026-2028, promosso dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, si propone di trasformare l’Italia in un hub euro-mediterraneo per energia, logistica e servizi avanzati. Collegando porti, corridoi energetici e dorsali digitali, il Paese può giocare un ruolo chiave nella costruzione di una filiera blu integrata, decarbonizzata e digitalizzata.
In quest’ottica si inserisce anche il Piano Mattei per l’Africa, che prevede partnership economiche con i Paesi del Mediterraneo allargato, puntando a una nuova fase di cooperazione marittima. È una visione che mira a rilanciare l’Italia come “ponte d’acqua” tra Europa, Africa e Medio Oriente.
Il Rapporto segnala in particolare il potenziale ancora inespresso del Mezzogiorno: qui la blue economy incide per il 15,5% del PIL territoriale, ma è ancora troppo concentrata su turismo e intrattenimento (46% della filiera). Serve, quindi, una diversificazione produttiva che integri maggiormente logistica, ricerca e industria.
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